«Costruire da oggi l’economia del 2035»

Corriere del Trentino / di Nicola Chiarini

Far saltare i recinti tra i saperi, riprogettare la scuola nei modelli didattici e negli spazi di studio, armonizzare ricerca e imprese per un’economia di condivisione. Questi gli assi portanti del ragionamento proposto. ieri mattina a Palazzo Geremia, da Francesco Profumo, Stefano Micelli, Salvatore Majorana nell’incontro «Lavori sostenibili del futuro» moderato, nell’ambito di Greenweek, da Filiberto Zovico. Profumo, presidente della Fondazione Bruno Kessler e già ministro dell’Istruzione nel governo Monti, pensa che la rivoluzione debba partire ora ed essere compiuta nel medio periodo da chi inizia la scuola adesso. «Ragazzi — spiega — che arriveranno al diploma nel 2030 e alla laurea nel 2035. Il modello dei saperi scientifici e umanistici separati è superato. Vanno mescolati per valorizzare la creatività».

E per dare gambe alla prospettiva serve visione d’insieme, politica e d’impresa. «Come fece Bruno Kessler a Trento 60 anni fa — osserva — l’innovazione non va proclamata, ma costruita con processi ragionati, con un patto politico di almeno 20 anni, valido a prescindere dai governi. Temi purtroppo non affrontati in campagna elettorale, nonostante l’istruzione sia un settore cruciale come la sanità, il primo investimento per la mobilità sociale». E se la politica, per Profumo, latita, ancor più cruciale diventa l’assunzione di responsabilità da parte di ricercatori e operatori economici. «Le imprese — continua Profumo — devono comprendere che la ricerca non ha rendimento immediato e al 100%. I ricercatori, invece, devono dialogare con gli innovatori per tradurre in sviluppo il proprio lavoro».

E l’investimento, anzitutto su competenze tecniche d’eccellenza, è la chiave anche per la sostenibilità sociale, secondo Micelli. «La manifattura di qualità — spiega l’economista, docente dell’università di Venezia — si regge su rapporti di lavoro stabili e buoni salari, proprio per l’alto valore artigianale delle professionalità». E questi «artigiani tecnologici» sono la chiave per la tenuta del Made in Italy e delle esportazioni. «Le parole chiave — sostiene Majorana, direttore del parco scientifico Kilometro Rosso di Bergamo — sono innovazione e sistema. Usa e Cina possono giocare sui volumi, noi dobbiamo puntare sulle competenze straordinarie. E per costruire una base solida le imprese devono guardare lontano, non al risultato immediato».

Fin qui il metodo, ma quali saranno i settori in crescita nel futuro? Profumo indica gli ambiti, ferma restando l’incertezza di un quadro mutevole. « Solo il 10% dei lavori attuali andrà verso un incremento dell’occupazione — sostiene — penso ai servizi alle persone in un Paese che invecchia, educazione per promuovere alta scolarità, attività sostenibili di sviluppo industriale e di servizi». Condivide la riflessione Micelli che aggiunge: «Abbiamo bisogno di ventenni brillanti, in grado di immaginare soluzioni e partecipare a processi di innovazione diffusa. Queste filiere, a breve, avranno bisogno di talenti». Per questo l’economista ritiene si debba investire nell’alta formazione tecnica, anche post laurea. «Figure che non abbiano solo l’impostazione teorica — dice — in Italia si stima ci siano solo 8.000 profili di questo genere, quando in Francia sono 240.000 e in Germania 800.000». A questo Majorana aggiunge la sfida della robotizzazione dei processi, opportunità e non problema. «Da qui — ipotizza — scaturiranno processi produttivi più efficaci e meno energivori e, dunque, più rispettosi dell’ambiente. Le professionalità umane potranno essere concentrate sulla costruzione di un modello di sistema che punti alla condivisione non solo nell’economia, ma pure in settori cruciali come la mobilità, dove il peso dei mezzi privati calerà».

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