L'Economia del Corriere della Sera -

Green Week, sostenibilità; “La svolta ci sarà, conviene a tutti”

Per salvare il clima non è necessario rinunciare alla crescita economica. Per Alessio Terzi, economista in forze alla Commissione europea e autore di «Growth for Good» (Harvard University Press), la strada migliore per ridurre le emissioni a effetto serra non è la «decrescita felice», ma il capitalismo responsabile. «La crescita non è iniziata con l’utilizzo delle risorse fossili, c’era già prima e ci potrà essere anche dopo, quando avremo smesso una buona volta di bruciare combustibili fossili»,precisaTerzi, cercando di sfatare il mito secondo cui il capitalismo e le emissioni di CO2 sarebbero per forza collegati. «La grande accelerazione che abbiamo visto negli ultimi 200 anni grazie allo sfruttamento delle fonti fossili non è l’unico modello di crescita possibile — sostiene —. Con la transizione energetica possiamo crearne uno nuovo, basta spostarsi verso un modello di crescita sostenibile, che in una parte del mondo stiamo già sperimentando». In effetti, dal 1990 l’Unione europea ha ridotto di un quarto le proprie emissioni di CO2, mentre il prodotto interno lordo reale è cresciuto del 62%. Lo stesso vale per gli Stati Uniti. E vale anche, in misura minore, per tutto il mondo sviluppato: nei Paesi dell’Ocse, il Pil è aumentato del 32% tra il 2000 e il 2016, mentre la domanda di energia primaria è diminuita leggermente, soprattutto grazie all’efficienza energetica e alle fonti rinnovabili, messe in campo sia per motivi ambientali che per far fronte ai costi crescenti delle risorse fossili. «Se si tiene conto dell’adozione di politiche ambientali sempre più stringenti, il calo osservato nella domanda di energia e nelle emissioni di CO2 non dovrebbe sorprendere. Arrestare la crescita non solo è tutt’altro che necessario per preservare il pianeta, ma avrebbe anche grandi svantaggi. Peri Paesi ricchi, implicherebbe minori risorse disponibili per pagare l’assistenza sanitaria e le pensioni, in un momento in cui la quota della popolazione anziana è in rapida espansione. Per le nazioni meno ricche, questa opzione è ancora più inverosimile, in quanto l’abbandono della crescita confina molti in una condizione di miseria, con diversi bisogni fondamentali lasciati insoddisfatti. I disordini sociali sarebbero quasi certi», argomenta Terzi.

I correttivi. Chi si batte per la decrescita imputa lo sfruttamento dissennato delle risorse del pianeta al capitalismo. Solo 100 aziende in tutto il mondo sono responsabili di oltre il 70% delle emissioni di CO2, ma non possono essere fermate, si argomenta, perché le grandi lobby hanno comprato il silenzio della politica. Terzi è convinto che il capitalismo come lo conosciamo oggi richieda correttivi importanti, ma che non ci siano alternative reali alla crescita economica, destinata a diventare sempre più verde. Il tassello centrale per comporre questo nuovo modello, secondo Terzi, è una presa di coscienza dei cittadini — che poi sono anche consumatori — dell’importanza di riconciliare economia e natura. «Si parla di cambiamento climatico ormai da 50 anni, è arrivato il momento di una svolta nella volontà dei cittadini di mettere questi temi al centro del dibattito. La crescente priorità data dagli elettori alla conservazione della natura, in tutte le aree geografiche e i livelli di sviluppo, è la spinta migliore per accelerare le politiche a favore del clima. Solo la pressione esercitata da un’ampia base di cittadini sui propri rappresentanti eletti potrà rimodellare il nostro sistema economico», prevede l’economista. Una potente spinta dal basso darebbe ai governi l’autorità per imporre nuove misure e alle aziende la motivazione per investire nelle tecnologie pulite.

Incentivi e divieti. «Ci vuole un mix di misure dedicate, dagli incentivi fiscali ai divieti, per spingere il sistema produttivo a investire sulle tecnologie verdi. Con i divieti ci andrei cauto, perché possono scatenare reazioni negative fra i cittadini, ma ci vogliono anche quelli», sottolinea Terzi. Il modo migliore resta l’adesione libera della società a una nuova serie di valori e i migliori promotori sono i cittadini stessi, in particolare quei pionieri che adottano prima degli altri l’opzione verde, perché la considerano l’opzione di migliore qualità. «Lo vediamo con l’auto elettrica, dove un alcune avanguardie sono state disposte a pagare un premio di prezzo iniziale, avviando così la diffusione della nuova tecnologia e il calo successivo dei prezzi, grazie alle economie di scala, che porteranno l’auto elettrica a costare quanto un’auto termica», ragiona Terzi. Perché, prevede l’economista, «in un momento non tanto distante da oggi, l’opzione verde e l’opzione più a buon mercato coincideranno». Il processo si perfeziona con l’intervento della politica, che definisce una data oltre la quale le vecchie tecnologie non saranno più commercializzate, come nel caso della direttiva della Commissione europea sullo stop alle auto a benzina e diesel nel 2035.

A buon mercato. La stessa dinamica si è verificata con le tecnologie rinnovabili: dai pannelli solari all’eolico, oggi le fonti pulite sono più competitive dell’energia fossile, tanto che nel 2022 gli investimenti globali nelle rinnovabili hanno superato perla prima volta quelli nelle fonti fossili. «È lo stesso modo in cui sono avvenute le transizioni energetiche del passato—dice Terzi —: pensiamo al passaggio dall’uso delle candele all’elettricità o dall’uso del carbone al metano per il riscaldamento domestico». In tutti questi casi ha vinto l’opzione più verde, prima adottata da un manipolo di pionieri e poi dalla massa quando è diventata la soluzione più conveniente. Non c’è motivo per escludere che succederà così anche stavolta.

di Elena Comelli

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