La moda sostenibile? Non esiste

Gazzetta di Parma / di R.C.

Denunciare un modello, quello del fast fashion, fra i più impattanti a livello ambientale.

Ma soprattutto far comprendere ai consumatori il grave danno che si compie non prestando attenzione a ciò che si acquista (privilegiando prodotti a prezzi più bassi).

Spinta da questi obiettivi Maxine Bédat, avvocatessa, imprenditrice, ricercatrice e attivista, ha nesso nero su bianco le grandi problematicità del sistema moda: lo ha fatto con un libro, «Unraveled», che per la prima volta è stato presentato, al Festival della Green Economy, nella sua traduzione italiana.

Domani uscirà dunque ufficialmente «Il lato oscuro della moda. Viaggio negli abusi ambientali (e non solo) del fast fashion», edito da Post Editori. Nelle pagine, Bédat ripercorre le ombre del sistema, attraverso la narrazione del processo produttivo che coinvolge un semplice paio di jeans.

Un vero e proprio «giro per il mondo», che inizia nei campi di cotone del Texas e vola poi in Cina, dove le fibre grezze sono trasformate in filato e poi in tessuto in «linee produttive interminabili», e tinte che utilizzano sostanze chimiche fatte defluire nei corsi d’acqua, tanto da renderli sporchi e neri.

Poi, il denim arriva in Bangladesh e in Sri Lanka: qui «ho visto l’impatto sulla vita umana, soprattutto sulle donne coinvolte nel processo produttivo, sottoposte a lavori stressanti e di sfruttamento», dice Bédat.

Una volta terminato, il prodotto torna in America, nei magazzini Amazon, dove il lavoro delle persone viene cronometrato al secondo. Ma se questa è la realtà, come fare per orientarsi verso un’ottica più sostenibile?

Secondo Bédat, sono tre i fattori da considerare perché «non è vero che non si possono cambiare le cose»: si deve partire dal ruolo del singolo, che da semplice consumatore passivo, deve trasformarsi in cittadino consapevole ed informato, e smettere di seguire «celebrità che ci bombardano nei social media per venderci vestiti».

E poi diffondere i problemi di questo settore attraverso i media, perché «se non conosciamo queste storie, non smetteremo mai di essere consumatore».

Infine, un ruolo importante lo deve giocare la legislazione, spingendo i Paesi a seguire leggi precise che possano orientare il cambiamento.

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