Il manager delle bibite coach di felicità

Corriere della Sera – Buone Notizie / di Elisabetta Rosaspina

Spiegato da lui, pare naturale come bere un bicchiere d’acqua: «La felicità non esiste, esiste l’essere felici». O anche: «La felicità è fare, non avere o essere».

Già. Ma se c’è qualcuno che te lo ricorda tutti i santi giorni, compresi quelli andati storti, aiuta.Deve essere un’esperienza insolita, per i 50 dipendenti dell’azienda di bibite e acqua minerale Lurisia, nelle Alpi liguri, avere un direttore generale che è pure un coach. Un coach per allenarsi non a produrre di più o più rapidamente, ma a essere felici. Anzi: «feliciani», la tribù dei «combattenti per la felicità» che si propone di migliorare l’umore del mondo dando il buon esempio, con il «sorriso, sempre».

Alessandro Invernizzi, 47 anni, non ha avuto a che fare con un destino molto amichevole fino a poco tempo fa. Nel 2009 gli è stata diagnostica una forma di leucemia severa che lo ha confinato per tre mesi in una camera sterile, dove non sempre entravano a fargli visita idee allegre e positive. E forse non sempre poteva bastare, per risollevargli il morale, il «pensare alle cose belle della propria vita». Come due bambini, in attesa là fuori, Alexander e Rebecca. La seconda era nata da appena 29 giorni quando al suo papà è stato comunicato che lui aveva un 50% di possibilità di cavarsela e un 25% di uscirne davvero guarito, senza strascichi.

A quel punto Alessandro Invernizzi era uno dei più giovani amministratori delegati italiani. Nel 1996 suo padre, Vittorio, imprenditore, aveva rilevato i debiti dell’azienda di Lurisia, centro termale di 200 abitanti in provincia di Cuneo, e otto anni dopo aveva lasciato ad Alessandro il compito di amministrarla. Nello stesso periodo è entrato in società Oscar Farinetti e, con la rete di Eataly, si è ampliata la gamma di prodotti e il mercato delle sorgenti sul Monte Pigna che, cento anni fa, avevano acceso la curiosità scientifica di Marie Curie.

C’erano tutti gli ingredienti per una bella storia di successo economico e personale fino all’antivigilia del Natale di dieci anni fa, quando è arrivata la busta con gli infausti risultati delle analisi cliniche: «Mi dicevo: andrà tutto bene. Ho due figli, devo tenere duro. E così racconta il manager ho retto per quattro mesi. Ma quando, l’anno dopo, il male si è ripresentato ho vissuto un momento tragico. Le energie positive si sono spente dentro di me. È stata mia moglie a darmi la luce che non avevo più, dicendomi: non ti preoccupare, andrà tutto bene. Nel 2016, la terza ricaduta. È stato a quel giro che ho pensato ai “feliciani”. Mi sono ricordato di quello che diceva il medico della Clinica mobile del Moto GP, Claudio Costa: se dopo qualche brutto incidente, al risveglio in ospedale, i piloti mi chiedono “quando torno in sella?”, significa che ce la fanno».

Il movimento dei «feliciani» è germogliato così,in una stanza asettica dove un giovane uomo isolato da quasi tutti i suoi simili rifletteva sulle paroli illuminanti di Albert Espinosa, l’inventore dei «braccialetti rossi»: «La felicità non è un oggetto da possedere, come un’auto. È una scelta». E, se si decide di essere felici, «se il cervello, organo potentissimo, si focalizza sulla volontà di guarire, ci sono buone probabilità ha capito Alessandro Invernizzi che il corpo lo segua. Il problema è che non sappiamo usare l’incredibile potere di autoguarigione dell’organismo».

Magari, dal punto di vista clinico, la questione non è tanto semplice; ma un dirigente si è preparato ad affrontare le difficoltà, non a scansarle: «La prima regola dei feliciani è indossare ogni mattina il miglior sorriso, anche in quelle mattine dove è tutto nero, soprattutto in quelle mattine» ha scritto Invernizzi nel sito internet dedicato alla categoria. Attenzione, però, a non confondere la felicità con la gioia o il piacere, «quelle sono conseguenza di fattori ormonali avverte o della chimica. La mia idea di felicità ha a che fare con l’armonia, l’equilibrio, la realizzazione personale».

Non c’è un po’ di egoismo in questo occuparsi tanto di se stessi?«L’egoismo fa parte del nostro istinto di sopravvivenza e non è necessariamente negativo. L’egoismo individuale non funziona, ma quello sociale ci serve a combattere fenomeni come il riscaldamento e la povertà globali. Uno per uno saremmo perdenti, ma l’egoismo della nostra specie ci spinge a salvaguardare l’ambiente e la Natura». Non poteva restare un segreto per qualche migliaio di seguaci sui social o nelle platee cui l’imprenditore porta la sua testimonianza un paio di volte al mese: Invernizzi ha in programma «un evento a fine estate, dove invitare le comunità italiane che creano valore positivo, che operano negli ambiti delle quattro sostenibilità: umana, sociale, ambientale ed economica. L’obiettivo è quello di arrivare alla condivisione di un macro obiettivo e collaborare tutti insieme al suo raggiungimento. Si creerebbe un movimento energetico straordinario».

L’azienda che occupa un quarto degli abitanti di Lurisia, si è rivelata intanto un buon laboratorio per la creazione del pianeta Felicità: «Al primo posto c’è il benessere dei nostri collaboratori. Metto le persone non si stanca di ripetere Invernizzi ai convegni cui partecipa al centro del sistema produttivo, perché nel loro lavoro quotidiano possono evolvere e adeguarsi al mercato molto più velocemente di fattori tradizionali, come i macchinari, rapidamente superati dall’innovazione. Anche in azienda, all’innovazione preferisco l’evoluzione, perché contiene tutto». Ma non si scorda di quella stanza sterile, occupata oggi da altri inquilini, e dello sguardo incoraggiante delle infermiere sopra la mascherina: «Raccolgo fondi per l’Ail, Associazione italiana contro le leucemie linfomi e mieloma, i cui volontari lavorano all’Ospedale di Cuneo; e poi, se riesco, vorrei scrivere un libro entro l’anno». Istruzioni per rendere felice il mondo.

 

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